Abbiamo voluto creare una sessione dedicata al mondo della poesia che si intreccia con quello dei fiori, della natura.. Perchè non si puù udire nulla di più dolce e soave di un canto ai fior dedicato..
IL GELSOMINO NOTTURNO di Giovanni Pascoli
E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotta l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odoredi fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s' esala
l'odore che passa col vento.
Passail lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento..
E' l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta
non so che felicità nuova.
LA GINESTRA di Giacomo Leopardi
Qui sull'arida schiena
del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
la quale null'altro allegra albor nè fiore
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
dè tuoi steli abbellir l'erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna dè mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante
e d'afflitte fortune ognor compagna.
Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell'impietrata lava,
che sotto i passi al pelegrin risona;
dove s'annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio;
fur liete ville e colti,
e biondeggiar di spiche, e risonaro
di muggito d'armenti;
fur giardini e palagi,
agli ozi dè potenti
gradito ospizio; e fur città famose
che coi torrenti suoi l'altero monte
dall'ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo
che il deserto consola. A queste piagge
venga solui che d'esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all'amante natura. E la possanza
qui con giusta misura
anco estimar potrà dell'uman seme,
cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
con lieve moto in un momento annulla
in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente
annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
son dell'umana gente
le magnifiche sorti e progressive.
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti
abbandonasti, e volti addietro i passi,
del ritornar ti cabti,
e procedere il chiami.
Al tuo pargoleggiar gli'ingegni tutti,
di cui lor sorte rea padre ti fece,
vanno adulando, ancora
ch'a ludibrio talora
t'abbian fra se. Non io
con tal vergogna scenderò sottoterra;
ma il disprezzo piuttosto che si serra
di te nel petto mio,
mostrato avrò quanto si possa aperto:
ben ch'io sappia che obblio
preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
mi fia comune, assai finor mi rido.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
vuoi di nove il pensiero,
sol per cui riorgemmo
dalla barbarie in parte, e per cui solo
si cresce in civiltà, che sola in meglio
guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
dell'aspra sorte e del depresso loco
che natura ci diè. Per questo il tergo
vigliaccamente rivolgesti al lume
che il fè palese: e, fuggitivo, appelli
vil chi lui segue, e solo
magnanimo colui
chè se schernendo gli altri, astuto o folle,
fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Uom di povero stato e membra inferme
che sia dell'alma generoso e alto,
non chiama sè nè stima
ricco d'or nè gagliardo,
o di splendida vita o di valente
persona infra la gente
non fa risibil mostra;
ma sè di forza e di tesor mendico
lascia parer senza vergogna, e noma
parlando, apertamente, e di sue cose
fa stima al vero uguale.
Magnaniomo animale
non credo io già, ma stolto,
quel che nato a perir, nutrito in pene,
dice, a goder son fatto,
e di fetido orgoglio
empie le carte, eccelsi fatti e nove
felicità, quali il ciel tutto ignora,
non pur quest'orbe, promettendo in terra
a popoli che un'onda
di mar commosso, un fiato
d'aura maligna, un sotterraneo crollo
distrugge si, che avanza
a gran pena di lor la rimembranza.
Nobil natura è quella
che a sollevar s'ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra se nel froffrir, né gli odii e l'ire
fraterne, ancor più gravi
d'ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l'uomo incolpando
del suo dolor, ma da la colpa a quella
che veramente è rea, che dé mortali
madre è di parto e di voler matrigna.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l'umana compagnia,
tutti gfra sè confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta e aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune. E alle offese
dell'uomo armar la destra, e laccio porre
al vicino e inciampo,
stolto credo così qual fora in campo
cinto d'oste contraria, in su più vivo
incalzar degli assalti,
gl'inimici obbliando, acerbe gare
imprender con gli amici,
e sparger fuga e fulminar col brando
infra i propri guerrieri.
Così fatti pensieri
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell'orror che primo
contra l'empia natura
spinse i mortali in social catena,
fia ricondotto in parte
da verace saper, l'onesto e il retto
conversar cittadino,
e giustizia e pietade, altra radice
avranno allor che non superbe fole,
ove fondata probità del volgo
così star suole in piede
quale star può quel ch'ha in error la sede.
Sovente in queste rive,
che, desolate a bruno
veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
seggo la notte; e su la mesta landa
in purissimo azzurro
veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
cui di lontan fa specchio
il mare, e tutto di scintille in giro
per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
ch'a lor sembrano un punto,
e sono immense, in guisa
che un punto a petto lor son terra e mare
veracemente; a cui
l'uomo non pur, ma questo
globo ove l'uomo è nulla
sconosciuto è del tutto; e quando miro
quegli ancor più senza alcun fin remoti
nodi quasi di stelle,
ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
e non la terra sol ma tutte in uno
del numero infinite e della mole,
con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
o sono ignote, o così paion come
essi alla terra, un punto
di luce nebulosa; al pensier mio
che sembri allora, o prole
dell'uomo? E rimenbrando
il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte
che te signora e fine
credi tu data al Tutto, e quante volte
favoleggiar ti piacque, in senso oscuro
granel di sabbia, il qual di terra ha nome
per tua cagion, dell'universe cose
scender gli autori, e conversar sovente
cò tuoi piacevolmente, e che i derisi
sogni rinnovellando, ai saggi insulta
fin la presente età, che in conoscenza
ed in civil costume
sembra tutte avanzar; qual moto allora,
mortal prole infelice, o qual pensiero
verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.
Come d'arbor cadendo il picciol pomo,
cui là nel tardo autunno
maturità senz'altra forza atterra,
d'un popol di formiche i dolci alberghi,
cavati in molle gleba
con gran lavoro, e l'opre
e le ricchezze che adunate a prova
con lungo affaticar l'assidua gente
avea provvidamente al tempo estivo,
schiaccial, diserta e copre
in un punto; (...)
E piegherai sotto il fascio mortal non renitente
il tuo capo innocente:
ma non piegato insino allora indarno
cordialmente supplicando innanzi
al fuuro oppressor; ma non eretto
con forsennato orgoglio onver le stelle,
nè sul deserto, dove
e la sede e i natali
non per voler ma per fortuna avesti;
ma più saggia, ma tanto
meno inerma dell'uom, quanto le frali
tue stirpi non credesti
o dal fato o da te fatte immortali.
martedì 1 giugno 2010
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